[Seconda Parte] Jugoslavia: Storia del più grande genocidio europeo dopo la seconda guerra mondiale
Daniele Pipitone

A seguito di una ribellione in Kosovo, duramente colpito a seguito della crisi petrolifera del '79, che quasi piegò l'intera Jugoslavia, il malcontento generale finì per riaccendere i focolari nazionalisti in Serbia. Il 25 Settembre del 1986 venne pubblicato dalle testate giornalistiche Jugoslave il cosiddetto Memorandum SANU, così chiamato perché era una bozza di articolo trapelato dall'Accademia serba di scienze e arti di Belgrado, la più importante università serba. Esso riportava che la Serbia fosse stata letteralmente sfavorita all'interno della Jugoslavia, poiché le repubbliche si stavano approfittando delle risorse e delle ricchezze serbe e che l'etnia serba fosse sottoposta a un genocidio strisciante, quando veniva rimarcato che essi avevano fatto enormi sacrifici e che essi fossero stati sminuiti da Tito. L'articolo fu definito inaccettabile per i leader politici jugoslavi, ma tra questi all'epoca spiccava una figura che oggi è ricordata per essere stata tra i protagonisti delle guerre Jugoslave: Slobodan Milošević. Egli, nel 1987, sarebbe poi andato a Kosovo Polje, oggi capitale del Kosovo, per mediare tra i serbi kosovari e gli albanesi, sebbene in quel periodo stesse iniziando a mostrare tendenze nazionaliste anche lui. Dopo aver raggiunto la presidenza della Serbia, nel 1989 a Pristina, sempre in Kosovo, a distanza di ben 600 anni dalla sconfitta dell'ex Impero serbo a Kosovo Polje contro i turchi ottomani, Milošević espose un concetto che possiamo definire terrificante: quegli stessi serbi che avevano combattuto nel 1389 stavano combattendo nel 1989. Questo discorso segnò il fallimento del comunismo in Jugoslavia, oltre all'inizio di un grosso domino. Si perché nel mentre, nelle repubbliche di Croazia e Slovenia vi erano recenti movimenti di democratizzazione, di conseguenza le due repubbliche si trovavano nell'89 a chiedere la possibilità di istituire un referendum per secedere dalla Jugoslavia. Milošević si oppose a ciò, tuttavia sia Croazia che Slovenia tennero comunque dei referendum e nel 1991 entrambi si staccarono dalla Jugoslavia. Di conseguenza, Milošević e i suoi collaboratori si adoperarono per lanciare l'invasione sia di Croazia che di Slovenia. Se gli scontri con la Slovenia terminarono in dieci giorni con una rapida pace mediata dalla Comunità Economica Europea e sia Slovenia che Macedonia di lì in poi poterono separarsi senza problemi, la Croazia non fu dello stesso avviso. Prima dell'indipendenza, le forze di difesa croate appartenenti all'esercito jugoslavo erano state scorporate per ordine di Milošević, con l'eccezione delle brigate a maggioranza serba. Suddette brigate, di lì a poco, avrebbero aiutato i nazionalisti serbi locali che, di tutta risposta alla secessione croata, si separarono anche loro formando la Repubblica Serba di Krajina, guidata da Milan Babic, prendendo il controllo di una larga parte del territorio croato. La questione raggiunse l'ONU, che stava cercando di mediare al fine di trovare una soluzione, mentre i civili croati assistevano impotenti a decine di soprusi perpetrati dalle milizie serbo-jugoslave. L'ONU accordò le due parti per un cessate il fuoco, al quale seguì l'arrivo dell'UNPROFOR, forze di sicurezza ONU che dovevano garantire la pace nelle safe areas presenti nello stato fantoccio della Repubblica di Krajina. Ed è in questo momento storico che entra in scena un terzo attore: la Bosnia-Erzegovina. La Bosnia, infatti, era segnata da grosse divisioni interne fra tre etnie: bosgnacchi musulmani, croati cattolici e serbi ortodossi. La situazione iniziò a farsi precaria quando i serbi, guidati da Radovan Karadžić, avevano iniziato a radunarsi, unendosi nel 1992 sotto la repubblica Srpska, mentre i croati, nel novembre del '91, si erano uniti nella Repubblica Croata di Herceg-Bosnia. Vista la situazione, la Bosnia-Erzegovina si vide costretta a dichiarare l'indipendenza nel 1992. La reazione militare fu durissima e gli scontri iniziarono rapidamente quando l'esercito della Repubblica Srpska inviò le sue truppe guidate da Ratko Mladic ad assediare Sarajevo, oltre che ad occupare alcune città chiave in Bosnia. Dopo una serie di combattimenti, la Croazia e la Bosnia riuscirono ad accordarsi per riportare la situazione a livelli stabili, riaccorpando l'Herceg-Bosnia alla Bosnia. Nel mentre l'ONU aveva creato delle nuove safe areas in Bosnia, tra cui Sarajevo, Goražde e Srebrenica e impose una no fly zone chiedendo aiuto alla NATO per gestirla. L'UNPROFOR, nel '94, chiese aiuto alla NATO per difendere la safe areas di Goražde e la NATO in quella occasione realizzò il suo primo bombardamento nella storia, portando alla luce due situazioni: l'ONU non riusciva a difendere le sue aree dove erano stanziati i soldati, mentre la NATO, col bombardamento, era legittimata ad attaccare qualora fosse ritenuto necessario. Mladic, sequestrando soldati ONU, convinse l'aviazione NATO ad arrestare i bombardamenti, di conseguenza, quando il momento fu propizio, le forze serbe si avviarono verso il più famoso atto criminale di tutta la guerra: il Massacro di Srebenica. Con l'avanzata indisturbata che Mladic ebbe, il contingente UNPROFOR si trovò impreparato a gestire la situazione, di conseguenza esso dovette fuggire dalla città, finendo per lasciare mano libera a Mladic. La reazione internazionale fu di totale indignazione e la situazione di inadeguatezza dell'ONU diede alla NATO il pretesto per agire. Mentre, con l'ausilio bosgnacco, la Croazia riuscì a sconfiggere e a dissolvere la Repubblica Serba di Krajina, la NATO, in un mese di bombardamenti, costrinse Karadžić, Mladic e Milošević al tavolo di pace a Dayton, nel 1995, col quale veniva confermata l'indipendenza di Croazia e Bosnia dalla Jugoslavia e il riassorbimento della repubblica Srpska come parte della federazioni bosniaca. Ma non finisce qui, perché manca l'ultimo, grande conflitto che caratterizzò i Balcani, fra l'altro un conflitto dotato di molte peculiarità: il Kosovo. Dal 1993 era stato fondato l'UCK, l'Esercito di Liberazione Nazionale del Kosovo, che dalla firma degli Accordi di Dayton,uscì allo scoperto, iniziando a prendere il controllo parziale del Kosovo, arrivando nel 1998 a detenere il controllo di circa il 40% del territorio kosovaro. La reazione di Milošević fu dura, il quale inviò l'esercito jugoslavo (divenuto ormai una mera facciata per mascherare il nome di esercito serbo, data la scissione della maggior parte delle repubbliche della Jugoslavia) a invadere le zone controllate dall'UCK. La NATO, guidata dagli States di Bill Clinton (deciso a spodestare Milošević), propose al presidente serbo gli accordi di Rambouillet, respinti da quest'ultimo (si pensa, fra l'altro, che questi accordi fossero il pretesto per far agire la NATO). Così, la sera del 24 Marzo del 1999, cominciò l'operazione NATO Allied Force, un'intensa campagna di bombardamenti in tutta la Serbia, compresa Belgrado, e il 10 Giugno la Serbia si arrese, nel conflitto dove la NATO non ebbe nessuna perdita, prevedendo la possibilità di un'invasione terrestre. Fu istituita, con l'approvazione ONU, la missione Kosovo Force, tuttora attiva sotto il comando italiano del generale Enrico Barduani. L'UCK sarebbe rimasto in attività e agli inizi del 2000, a causa dello spostamento di massa della popolazione albanese, avrebbe fomentato in Macedonia del Nord una ribellione, conclusasi con l'istituzione dell'albanese come seconda lingua ufficiale, mentre nessuno si era adoperato per combattere nel conflitto. Per concludere il tribunale penale internazionale per gli ex crimini in Jugoslavia avrebbe finito per incriminare Milošević, Karadžić e Mladic, i quali avrebbero in seguito scontato le proprie pene (a eccezione di Milošević, morto nel 2006 prima della sentenza definitiva) a seguito di una lunga latitanza.