L'uso delle maschere

03.04.2025

Serena Lo Pilato

Non solo a Carnevale: il significato della maschera

Quando diciamo che a Carnevale ogni scherzo vale, parliamo di una festività all'insegna della beffa e del rovesciamento dei ruoli. A proposito, per impersonificare un personaggio o un'entità è necessario l'ausilio di una maschera, le cui origini sono molto lontane nel tempo.

La parola "maschera" deriva dal preindoeuropeo masca "fuliggine, fantasma nero" e allude a un travestimento, un finto volto.

Le origini della maschera sono antichissime, secondo alcune fonti sembrano risalire addirittura al mondo greco-romano. In Grecia, infatti si era soliti organizzare le Dionisie, delle feste consacrate al culto del dio Dioniso per cui venivano organizzate grandi competizioni in cui vari drammaturgi mettevano in scena delle rappresentazioni tragiche, comiche e un dramma satiresco (ovvero una rappresentazione drammatica derivata dal ditirambo, canto sacro appunto a Dioniso). Già in questo contesto, agli attori era concesso di indossare delle maschere in terracotta con degli ornamenti di lino. Il termine greco con cui viene indicato l'attore è ypokritès, che letteralmente vuol dire "colui che finge".

A Roma invece vi erano i Saturnali di solito dal 17 al 23 dicembre al fine di celebrare l'avvento del solstizio di inverno, nonostante le usanze fossero molto più vicine al nostro Carnevale. La celebrazione cominciava con un sacrificio per Saturno, al termine del quale vi erano un banchetto e un brindisi tra i convitati. Gli schiavi diventavano per un giorno liberi, mentre veniva eletto a sorte un "princeps", una sorta di caricatura del principe, per governare, a cui venivano fatte indossare maschere buffe e colorate. Si invertivano i ruoli in società, era una festività all'insegna del divertimento e della beffa! Infine i Romani erano soliti sintetizzare questo periodo dell'anno con il motto semel in anno licet insanire (una volta all'anno è lecito impazzire).

Lo scrittore latino Apuleio porta notizia sulle origini della maschera a proposito della dea Iside, in Egitto, il cui culto prevedeva l'utilizzo di apposite maschere. Sembra che inoltre vi fosse una bizzarra processione in cui sfilava un uomo avvolto in pelli di capra che veniva poi colpito con dei piccoli oggetti dagli spettatori. In questo culto le maschere servivano a scacciare la paura del male, le forze delle tenebre e dell'inverno, aprendo così la strada alla primavera. Erano quindi finalizzate a un uso popolare e religioso.

Poco a poco, il culto della maschera si è diffuso anche in altre civiltà, fino a diventare un oggetto sempre più diffuso nell'ideologia del Carnevale e non solo! Ai giorni d'oggi, le machere hanno assunto un significato molto più profondo: possono simboleggiare anche un cambiamento di identità.

Da un punto di vista psicologico e antropologico, un travestimento rivela l'esistenza di un particolare tipo di connessione che unisce i due elementi determinanti nel significato della maschera: ciò che viene nascosto (colui che è mascherato) e ciò che viene mostrato (la maschera stessa e quello che essa rappresenta). È evidente che le maschere diventino così un gioco tra realtà e finzione, di trasformazione e rivelazione, una tendenza a calarsi nei panni altrui, al fine di guardare a una specifica realtà con occhi diversi.

La maschera rappresenta quindi una maniera per esprimersi e porsi nei confronti dell'altro, un modo di apparire almeno esteriormente in un certo modo verso gli altri. Per fare ciò è necessario anche impersonificare un ruolo. Esattamente come accennato prima, le maschere servono per recitare dei ruoli che vengono definiti in base ai suoi interesse e a quelli degli altri, alla capacità di creare delle relazioni, ai modi di dire e fare e definiscono una persona da un punto di vista caratteriale e, di conseguenza, comportamentale.

A questo proposito lo scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello espone delle personali considerazioni nella sua opera Uno, nessuno, centomila. L'autore afferma che ognuno di noi è uno (da un punto di vista esteriore), ma contiene in sé molteplici personalità ed è al contempo nessuno, poiché la sua immagine non corrisponde al vero.

Tutto ciò è riconducibile a una visione molto teatrale della vita, contestualizzabile non solo nel periodo di Carnevale, ma anche nella vita ordinaria.

Serena Lo Pilato IVaC


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